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Ludovica Centro ci racconta la sua esperienza da student-athlete negli USA, dove tutt’ora risiede.

Laureata in Scienze Forensi presso la Long Island University – C.W. Post di New York, con un Minor Degree in Chimica, la sua passione per la pallavolo l’ha portata in visita negli Stati Uniti e qui ha capito fin da subito quale sarebbe stato il suo futuro …

L’inizio dell’avventura americana

Fin da quando ero piccola, sognavo di andare a vivere in qualche posto straniero. L’idea di venire in America però, è nata dopo un viaggio fatto nel 2009 con Volleyro’ a Miami e Fort Lauderdale.
Per la prima volta in vita mia, mi sono ritrovata a migliaia di chilometri di distanza da casa, a giocare in questo mega convention center con centinaia di squadre provenienti da ogni angolo degli States, ma anche dal Porto Rico e Repubblica Domenicana. Nello stesso viaggio, siamo andati a vedere la University of Miami e lì sono rimasta folgorata.
Mi ricordo che dopo quella visita, non facevo altro che chiedere a Jesica cosa avrei dovuto fare per poter diventare anche io uno student-athlete. 

La vita americana da Student-Athlete

Non avrei mai immaginato di ricevere tutto il supporto che ho avuto da università, professori, fisioterapisti e compagni di università. Essere uno student-athlete in qualche modo, non per sembrare snob, ti fa diventare parte di una élite. Soprattutto quando hai una buona media, i professori non hanno problemi ad accomodare varie richieste dovute a partite o allenamenti. I fisioterapisti sono sempre disponibili, anche quando hai pre-season e sei in spiaggia a fare preparazione alle 6 del mattino. I compagni universitari ti vedono come una specie di mostro perche’ riesci a passare i corsi e nel frattempo spendi ore in palestra invece che sui libri; e sono anche i primi che ti vengono a tifare alle partite in casa, oppure che ti danno i loro appunti quando manchi ad una lezione. Un tipo di sistema del genere io in Italia non l’avevo mai visto. 

Questa esperienza mi ha fatto diventare la persona che sono oggi, dandomi tanta apertura mentale. Ho giocato e studiato con persone di tanti paesi e culture diverse e quindi ho avuto la fortuna di essere esposta a tradizioni e usi diversi da quelli ai quali ero abituata. Sono diventata anche molto piu’ forte mentalmente. La lontananza da casa ti porta in qualche modo a dover cavartela da sola quando qualsiasi problema si presenta… E diciamo anche che tutti i suicides che la mia allenatrice ci ha fatto correre, ti portano veramente ad avere la mentalità del “Never give up”.

Fatica e gratificazione: i due momenti indimenticabili

Ci sono due episodi in particolare della mia esperienza che non dimenticherò:

Il primo è stato il mio primo giorno di pre-season, ero un sophomore e mi ero appena trasferita da un’altra università. Andiamo in spiaggia per fare preparazione ed io penso “ah che fico. Sarà duro, ma divertente”…Ho letteralmente visto la morte! Oltre a tutti esercizi con scatti ecc, abbiamo dovuto fare suicides sulla spiaggia cronometrati. Se non li facevamo entro un tot di secondi, tutte insieme continuavamo a correre finche’ non ci riuscivamo. Abbiamo dovuto correre tante di quelle volte per colpa mia e di un’altra ragazza. Lei ad un certo punto è scappata via dritta in bagno e non è uscita se non alla fine di tutto mentre io sono rimasta…Alla fine ce l’abbiamo fatta, penso più per pietà della coach che per aver effettivamente fatto il tempo.
A fine allenamento mi sentivo così umiliata che ho iniziato a chiedere scusa a tutti e anche alla coach (ovviamente mentre piangevo disperatamente).

La coach mi ha preso da parte e mi ha detto che dovevo smettere di scusarmi ed essere orgogliosa perché non avevo mollato e ce l’avevo fatta.

Durante tutto il tempo tutta la squadra era lì a spingere insieme, a caricarsi a vicenda perché tutte volevamo la stessa cosa. E’ una sensazione strana da descrivere, ma senti una carica e una forza diversa quando sai di essere supportata da altre 11 persone. 

Il secondo episodio è stato quando abbiamo vinto la Conference… Per quella c’è poco da aggiungere. Non era mai successo che il programma di pallavolo dell’università vincesse la Conference quindi è stata un’emozione unica per tanti motivi diversi. Tutto il lavoro di due anni ripagato in meno di due ore.

Vivere la pallavolo in America

Gli americani sono super legati alla loro università anche se io, ad essere sincera, sono sempre stata più legata alle persone con cui ho condiviso la mia esperienza universitaria, che al posto in sé. Fortunatamente mantengo sempre i contatti con amici con cui ho fatto dei corsi insieme e soprattutto, nonostante la mia allenatrice si sia trasferita alle Hawaii, continuo a sentirla spesso e mi ha appena invitato a giocare per un grosso torneo ad Honolulu. Sono riuscita a mantenere rapporti anche con le mie ex teammates e sono recentemente andata a visitare due di loro in Texas. 

A livello sportivo ho trovato molte differenze, a partire dalle regole del gioco. In America, a livello collegiale e anche didattico, le regole sono diverse. Per dirne un paio, se per esempio la palla tocca il soffitto, si può ancora giocare, ed il libero può servire al posto del centrale. Quando l’ho raccontato ad una delle mie ex compagne in Italia, per loro era come parlare di fantavolley.  

Regole a parte, allenamenti e preparazione atletica sono totalmente diversi. La maggior parte delle giocatrici sono atlete formidabili da un punto di vista atletico, ma non hanno la stessa bravura tecnica che ho visto in Italia. Qui in America la preparazione atletica è fondamentale. Il gioco è più veloce e la palla viene spinta di più. Per di più, a volte ti ritrovi a fare tornei dove hai 2/3 partite al giorno e durante la settimana fai più di una partita di campionato. Se non sei pronto atleticamente è la fine. 

Un’esperienza di vita

Questa scelta di diventare student-athlete negli USA rappresenta una delle esperienze più belle e anche più dure della mia vita, ma rifarei tutto da capo. 

Le lacrime durante gli allenamenti, l’essere totalmente impacciata con la lingua appena arrivata (mi facevo capire a gesti in gran parte), la lontananza da famiglia e amici, il doversi relazionare con una cultura ben diversa da quella italiana, sono tutte cose che a quasi 7 anni di distanza si sono rivelate necessarie per la mia crescita come persona e come atleta e sono state tutte ripagate largamente.
Con l’università abbiamo vinto la nostra Conference per la prima volta nella storia della scuola e siamo riuscite ad andare ai Nationals. Sono diventata bilingue (quasi parlo meglio inglese che italiano ormai) ed anzi, grazie alla forte influenza messicana e caraibica qui presente, parlo anche spagnolo. I miei genitori mi vengono a trovare spesso ed io riesco a tornare un paio di volte all’anno in Italia.
La cultura americana ormai si è fusa con quella mia italiana e 3 anni fa sono diventata residente americana. La cosa strana è che ormai quando torno da un viaggio al di fuori degli Stati Uniti, l’immigration mi dice sempre “Welcome back home”. 

Spero di riuscire a crescere sempre più professionalmente all’interno dell’azienda dove sto lavorando. Per ora continuo a giocare solo indoor (prossima settimana abbiamo i playoff della nostra lega 🙂 ), ma visto che l’estate è in arrivo, ho già un po’ di amici che stanno cercando di convertirmi al beach…

Quindi chissà, magari riuscire a fare qualche torneo di beach volley quest’estate.