Una intervista profonda, una chiacchierata che ci ha dato spunti e momenti di riflessioni. Per chi la leggerà con attenzione ci sono degli appunti da prendere. Grazie a Luciano Bucci per averci raccontato non solo la sua esperienza ma anche e soprattutto le sue emozioni.
Partiamo dall’attualità, oggi di cosa ti occupi?
Attualmente lavoro a tempo pieno come Web Developer presso una compagnia finanziaria qui a Parkville, Missouri. Ho avuto la fortuna di iniziare tre anni fa come stagista, e ora continuerò il mio percorso professionale attraverso il programma OPT. Parallelamente, la pallavolo occupa ancora una parte importante della mia vita, almeno fino alla fine di maggio. Sono infatti Assistant Coach della squadra maschile di pallavolo della Park University. Dopo una breve esperienza nella Division 1 con la University of Missouri – Kansas City durante il semestre autunnale, ho deciso di tornare a Park per supportare ex compagni e amici nel tentativo di vincere un titolo nazionale. Purtroppo, ci siamo fermati ai quarti di finale delle Nazionali.
L’esperienza da studente-atleta quanto ti ha “cambiato” ed in cosa?
Questa esperienza mi ha fatto maturare molto rapidamente. Sono partito dall’Italia otto anni fa, da una città di medie dimensioni, senza alcuna esperienza all’estero. All’epoca avevo una mentalita molto ristretta e non avevo ancora sviluppato una forte etica del lavoro. L’unica cosa che davvero mi interessava era la pallavolo. Il mio arrivo a Park ha segnato un punto di svolta.
La disciplina e l’etica del lavoro sono i pilastri del programma sportivo, e questi valori mi hanno formato non solo come atleta, ma anche a livello professionale.
Inoltre, far parte di una squadra composta da persone con background culturali molto diversi mi ha dato l’opportunità di imparare nuove lingue: oggi parlo fluentemente italiano, portoghese e inglese, e sto perfezionando anche lo spagnolo. Questa crescita personale e professionale mi ha reso più consapevole delle mie capacità, e credo di essere pronto ad adattarmi a qualsiasi ambiente quando questa avventura, che continuerà ancora per circa due anni, giungerà al termine.

Rispetto al mondo del lavoro, quali skills hai appreso negli States?
Negli Stati Uniti ho avuto l’opportunità di sviluppare una serie di competenze fondamentali che hanno avuto un impatto diretto sia sul mio percorso professionale che sulla mia crescita personale. La prima è imparare a gestire il mio tempo e le mie responsabilità in maniera autonoma. In un ambiente dove ci si aspetta che tu sia proattivo, organizzato e affidabile, ho capito quanto sia importante sapersi dare delle priorità, mantenere la concentrazione e rispettare le scadenze anche senza una supervisione costante. A questo si collega la capacità di portare a termine i compiti.
Qui non conta solo iniziare qualcosa, ma soprattutto finirlo, e farlo bene.
Ho imparato a non rimandare, a lavorare con costanza, e ad affrontare anche i compiti più difficili con senso di responsabilità e determinazione. Un’altra lezione fondamentale è stata la pazienza. Saper aspettare i tempi giusti, gestire le difficoltà senza perdere la calma, accettare i momenti di incertezza senza scoraggiarsi è qualcosa che ho imparato vivendo in un contesto molto diverso da quello da cui provengo. Ho anche affinato le mie competenze relazionali in ambito lavorativo.lavorare in team multiculturali mi ha insegnato ad ascoltare davvero, a comunicare in modo efficace e rispettoso, e a trovare sempre un terreno comune anche tra persone con background e punti di vista molto diversi. Infine, gli Stati Uniti mi hanno rafforzato nel mio spirito di competizione sana.
C’è una cultura in cui il mettersi in gioco, sfidare se stessi e cercare costantemente di migliorare è visto in modo molto positivo. Ho imparato a non avere paura del confronto, ma a viverlo come un’occasione per crescere.
Due momenti contrapposti. Raccontaci il momento/ricordo più bello ed il momento più complicato vissuto negli Stati Uniti come studente-atleta
Il momento più bello in assoluto è stato sicuramente quello delle lauree. Sono il primo nella mia famiglia a essersi laureato, sia per il percorso undergraduate che per il master. Quando sali su quel palco per ritirare il diploma, anche se solo per 30 secondi, realizzi che tutti gli sforzi, gli anni trascorsi lontano da casa, le feste di compleanno saltate e gli appuntamenti importanti a cui hai rinunciato… tutto è valso la pena.
È un momento carico di orgoglio, di gratitudine e di consapevolezza per tutto quello che hai costruito da solo, passo dopo passo.Il momento più difficile, invece, è stato il mio senior year, un anno complicato sotto molti aspetti. È vero, mi sono tolto anche delle belle soddisfazioni, ma che fatica! Venivo da una frattura da stress a una vertebra che mi ha impedito di allenarmi per tutto il fall semester. Dopo un lungo recupero, riesco a rientrare in campo. La stagione, però, non va nel migliore dei modi: usciamo in semifinale di conference e, quasi per miracolo, entriamo come ultima squadra qualificata alle Nationals. Da lì in poi, però, qualcosa cambia: una serie di prestazioni solide ci porta fino alla semifinale nazionale, per il secondo anno consecutivo. Ed è lì che il sogno di vincere un titolo svanisce… e con esso finisce anche la mia carriera da giocatore.
Dopo 18 anni passati a vivere la pallavolo — su 25 della mia vita — vedere cadere quell’ultima palla è stato come ricevere una pugnalata. È difficile spiegare a parole cosa si prova nel sapere che non condividerai più il campo con quei compagni, e che, nel mio caso, probabilmente non giocherò più a livello competitivo. È stato un addio difficile, ma anche un passaggio importante che mi ha fatto crescere, mi ha insegnato a chiudere un capitolo con dignità e a portarne con me tutto ciò che mi ha dato.
Quali sono state le difficoltà iniziali appena atterrato in America e come le hai superate?
Una delle difficoltà maggiori all’inizio è stata sicuramente la lingua. Prima di partire per gli Stati Uniti avevo seguito lezioni private di inglese per circa un anno, quindi pensavo di essere abbastanza preparato. Ma appena arrivato, mi sono reso conto che la mia conoscenza dell’inglese non era al livello che mi ero immaginato. I primi tempi sono stati duri, anche perché nella mia prima squadra solo un paio di ragazzi parlavano una lingua con cui riuscivo a farmi capire. Gli altri, quando cercavo di comunicare, mi guardavano come se fossi un alieno. Questa difficoltà, però, mi ha motivato ancora di più a migliorare.
Ho iniziato a studiare con più impegno, ad ascoltare, a prendere nota di espressioni comuni, e a mettermi in gioco in ogni occasione possibile. Col tempo, non solo ho imparato a comunicare, ma sono anche riuscito a integrarmi davvero. Un altro aspetto impegnativo è stato il cibo. Sembra una banalità, ma per chi è atleta è una sfida quotidiana. I pasti offerti nelle mense universitarie erano spesso ricchi di grassi, poco equilibrati, e le alternative salutari erano poche e sempre le stesse.
Mantenere un’alimentazione bilanciata e adatta alle esigenze fisiche è stato davvero complicato all’inizio. Con il tempo, però, ho imparato ad adattarmi. Ho iniziato a scegliere con più attenzione, a preparare da solo alcune cose quando possibile, e ad attivare la mia creatività per trovare soluzioni più sane. Anche questo mi ha insegnato molto: a prendermi cura di me stesso, a fare scelte più consapevoli, e a non dare per scontata l’importanza di una buona alimentazione.
Per concludere, qual è il consiglio che daresti ad un ragazzo/a che sta per intraprendere questa esperienza?
Il consiglio che darei a un ragazzo o una ragazza che sta per intraprendere un’esperienza simile è: abbi coraggio e sii pronto a metterti in discussione. Vivere e studiare all’estero non è facile, ci saranno momenti in cui ti sentirai solo, fuori posto, o addirittura inadeguato. Ma sono proprio quei momenti a farti crescere davvero. Non aspettarti che tutto sia perfetto, ma sii aperto al cambiamento. Lavora sodo, chiedi aiuto quando ne hai bisogno, e circondati di persone che ti spronano a migliorare. Ultimo non dimenticare perché sei partito. Tienilo sempre a mente, soprattutto nei momenti difficili. Sfrutta ogni occasione per imparare, dentro e fuori dall’aula, dentro e fuori dal campo. Alla fine, anche se ti sembrerà di aver dato tanto, ti renderai conto di aver ricevuto molto di più.